Esserci, aprile 2001

 

Benvenuto, don Gino!

Non vogliamo farci prendere dalla fredda abitudine di salutare e accogliere un vescovo, come tante volte è avvenuto in questi ultimi trent’anni, quasi come un atto dovuto di buona educazione ed ecclesiale riverenza al pastore della nostra diocesi.

Vogliamo invece sforzarci di vivere e far vivere questo evento come una vera festa di famiglia che si stringe attorno al segno più eloquente del Padre che guida il suo popolo.

Grazie, carissimo don Gino, nostro vescovo, perché hai scelto la primavera per venire in mezzo a noi, quando tutto rinverdisce e tutto viene strappato alla morte, anche la chiesa che si prepara mediante la Quaresima a gioire pienamente nella Pasqua.

Mentre noi invochiamo il Signore affinché ti dia forza e coraggio per il tuo ministero, ti chiediamo di pregare per noi affinché tu ci possa trovare disponibili all’ascolto, al dialogo e al servizio disinteressato, soprattutto verso gli ultimi.

Certo, ti accorgerai di trovare porte aperte, gente impegnata, ma che forse ha bisogno di trovare un certo entusiasmo ed una rinnovata passione per il Regno, perché – e tu hai il diritto di saperlo – da qualche tempo qui si stenta: c’è un terreno duro che spesso non si smuove nemmeno a colpi di progetti d’alto profilo e di programmazioni pastorali ineccepibili.

Non pretendiamo che tu sia l’eroe solitario che viene a risolvere tutti i nostri problemi, ma prova a chiederci con tenacia e dolcezza ciò che per una comunità ecclesiale deve essere essenziale: far tornare Dio a splendere non solo nei nostri cuori, ma anche nell’impegno quotidiano di chi ha deciso di rischiare tutto a partire dal Vangelo.

Per questo, e per tutto il resto del bene che ci vuoi e che ti vogliamo, benvenuto, don Gino!

don Francesco

 

Novo millennio ineunte

(sintesi della lettera apostolica scritta da Giovanni Paolo II al termine del grande giubileo dell’anno 2000)

A conclusione del Giubileo in cui si sono celebrati i duemila anni della nascita di Gesù “riecheggiano nel nostro cuore le parole con cui un giorno Gesù, dopo aver parlato alle folle dalla barca di Simone, invitò l’Apostolo a “prendere il largo” per la pesca: “Duc in altum” (Lc 5,4).

Inizia così la Lettera Apostolica scritta da Giovanni Paolo II “Novo millennio ineunte” in cui, lancia lo sguardo agli avvenimenti appena trascorsi, dà suggerimenti sul modo di continuare il cammino della Chiesa in questo terzo millennio appena iniziato. Eccone la sintesi.

L’incontro con Cristo

Noi ti rendiamo grazie, Signore Dio onnipotente” (Ap 11,17). Queste parole del salmista sono state lo stile del giubileo che ha voluto celebrare il sacrificio dei martiri, la fede della Chiesa mostrata dai giovani, dalle famiglie, dagli ammalati e, mentre sollecitava la risoluzione del debito internazionale dei paesi poveri, ai responsabili delle chiese cristiane chiedeva di affrettarsi a ricomporre la preghiera di Gesù nel Cenacolo: “Come Tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi una cosa sola” (Gv 17,21).

Un volto da contemplare

Subito dopo aver guardato questo passato prossimo, lo sguardo del Papa si volge al presente e al suo mistero incarnato.

Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21). E’ la richiesta fatta da alcuni Greci all’apostolo Filippo e, in forma inconsapevole, è quanto chiedono gli uomini del nostro tempo ai credenti di oggi. Non solo “parlare” di Cristo, ma in un certo senso di farlo “vedere”, e in quel vedere c’è tutta l’esperienza del nostro essere cristiani. Gli stessi Apostoli gioirono al vedere il Signore e si convinsero della verità strabiliante della vita nuova che veniva offerta agli uomini mostrando loro “le mani e il costato” (Gv 20,10) e lo stesso Tommaso credette solo dopo aver constatato il prodigio, ma in realtà solo la fede poteva varcare pienamente il mistero di quel volto, una fede che tante volte aveva interpellato i sui discepoli proprio per i suoi gesti e le sue parole.

A Cesarea di Filippo, quasi facendo un bilancio della sua missione, Gesù chiede che cosa la “gente” pensi di lui. Dalle risposte ricevute si comprende come il popolo arrivi ad intravvedere la dimensione religiosa decisamente eccezionale di questo Rabbì che parla in modo così affascinante, ma non riesce a collocarlo oltre quegli uomini di Dio che hanno scandito la storia di Israele. Gesù in realtà è ben altro! E’ appunto questo passo ulteriore di conoscenza che riguarda il livello profondo della sua persona quello che Egli si aspetta dai “suoi”: “Voi chi dite che io sia” (Mt 16,15).

Solo la fede professata da Pietro e con lui dalla Chiesa di tutti i tempi, va al cuore, raggiungendo la profondità del mistero: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Com’è arrivato Pietro a questa fede? E che cosa viene chiesto a noi se vogliamo metterci in maniera sempre più convinta sulle sue orme? Matteo ci dà un’indicazione illuminante nelle parole con cui Gesù accoglie la confessione di Pietro: “Né la carne, né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli (Mt 16,16). L’espressione carne e sangue evoca l’uomo e il modo comune di conoscere. Questo modo comune nel caso di Gesù non basta. E’ necessaria una “grazia di rivelazione” che viene dal Padre e che dà una risposta all’anelito del salmista: “Il tuo volto, Signore, io cerco” (Sal 27,8).

Ma quando questo volto è stato mostrato, nell’aderenza alla verità di essere Figlio di Dio, quel volto venne respinto e condannato perché chiamava Dio suo Padre, e lui che viveva l’unione profonda con il Padre, di sua natura fonte di gioia e beatitudine, sperimenta l’agonia fino al grido dell’abbandono, che è mistero profondo dell’incarnazione, e la risurrezione fu la risosta del Padre alla sua obbedienza.

E’ a Cristo risorto che ormai la Chiesa guarda e a duemila anni di distanza riprende il suo cammino, per annunciare Cristo al mondo. Egli è lo stesso “ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8).

Ripartire da Cristo

Ecco, io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Io sono con voi. Non si tratta allora di inventare un nuovo programma, dice il Papa a chi si interroga su cosa fare. Il programma c’è già. E’ quello di sempre.

Esso si incentra in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare. Desidero tuttavia additare, dice il Papa, alcune priorità pastorali:

In primo luogo la prospettiva della santità che è il porsi sul discorso della montagna: “Siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48) il cui percorso è personale ed esige una vera pedagogia della santità.

In secondo luogo per tale pedagogia c’è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera, quasi apprendendo sempre nuovamente quest’arte dalle labbra stesse del Maestro divino, come i primi discepoli: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1) perché è nella preghiera, dice il Papa, che si sviluppa quel dialogo con Cristo che ci rende suoi intimi: “Rimanete in me ed io in voi” (Gv 15,6).

In terzo luogo l’Eucaristia domenicale che da duemila anni scandisce il tempo cristiano, perché la verità della risurrezione di Cristo è il dato originario su cui si poggia la fede cristiana, e non celebrata una volta l’anno com’è il ricordo della pasqua, ma ogni domenica perché è celebrando la sua Pasqua che la Chiesa continuerà ad additare ciò che costituisce l’asse portante della storia delle origini e del destino finale del mondo.

E infine un rinnovato coraggio pastorale per fronteggiare la risi del “senso del peccato”, la scoperta del primato della grazia che accompagna l’investimento del nostro servizio alla causa del Regno, partendo dall’ascolto della parola di Dio, per diventare sì servi, ma dopo essersi nutriti.

Testimoni dell’amore

Tutte queste priorità pastorali non potranno che sfociare nel comandamento nuovo, dice il Papa, che è risposta alle istanze del nostro tempo: “Da questo tutti sapranno che siete mie discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35), perché nel cammino storico della Chiesa se mancherà la carità, tutto sarà inutile; e carità è desiderio di fare della chiesa una casa e una scuola di comunione, che ha in è la capacità di fare spazio a tutti i doni dello Spirito e in modo particolare alla promozione delle vocazioni, alla crisi diffusa dell’istituzione familiare, al delicato ambito dell’impegno ecumenico, senza tenersi in disparte di fronte al dissesto ecologico, ai problemi della pace, al vilipendio dei diritti umani e impegnandosi per il rispetto della vita di ciascun essere umano dal concepimento fino al suo naturale tramonto. E’ lo stesso servizio all’uomo che ci impone di gridare a quanti si avvalgono delle nuove potenzialità della scienza che non possono mai disattendere le esigenze fondamentali dell’etica, appellandosi magari ad una discutibile solidarietà, che finisce per discriminare tra vita e vita, in spregio alla dignità propria di ogni essere umano.

E’ l’ora questa, dice infine il Papa, di una “fantasia della carità”, che si dispieghi non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna condivisione. Dobbiamo fare in modo che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come “a casa loro”. Non sarebbe questo stile la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno? Senza questa forma di evangelizzazione, compiuta attraverso la carità, la testimonianza del Vangelo, che pure è la prima carità, rischia di essere incompresa e di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone.

La carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole.

Si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica ed individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell’Incarnazione e, in definitiva, con la stessa tensione escatologica del cristianesimo.

Per questo, saldati i conti delle spese sostenute per il giubileo, quanto sopravanzerà sarà destinato a finalità caritative.

Gesù risorto, che si accompagna a noi nelle nostre strade, ci rovi vigili e pronti per riconoscere il suo volto e correre dai nostri fratelli a portare il grande annuncio: ”Abbiamo visto il Signore” (Gv 20,25).

 

I conti… non sempre tornano

L’anno scorso, per saldare la pendenza finanziaria di nostra pertinenza nei confronti dell’impresa edile Samarelli, la comunità parrocchiale, a nome del parroco, ha dovuto contrarre un mutuo bancario di lire 100.000.000 per dieci anni. Sono facilmente intuibili i sentimenti di apprensione dei componenti il Consiglio per gli Affari Economici della parrocchia.

Confidando nella Provvidenza, ci siamo imbarcati in questa inevitabile avventura e tutti i parrocchiani sono stati debitamente informati. Ad un anno di distanza, ecco il primo resoconto:

Rata iniziale: lire 1.639.578

Rate successive: lire 1.166.275 mensili

tutte regolarmente versate

Per far fronte alle suddette spese 75 famiglie “benemerite” hanno risposto all’invito all’autotassazione di lire 100.000 mensili lanciata dal Consiglio degli Affari Economici parrocchiale.

Bassissima percentuale!

Per non incorrere in ulteriori spese è stato necessario inventarsi varie iniziative (laboratorio di pasta fresca, pizzarelli, vendita di piante, rappresentazioni teatrali, ospitalità a gruppi o enti nel salone sottostante la chiesa).

Si è cercato così di soddisfare gli impegni assunti con la banca. Fortunatamente non è mancato l’aiuto di qualche parrocchia, altrimenti chissà come sarebbe andata a finire…

Fortunate quelle parrocchie che possono fare affidamento su parrocchiani generosi e molto sensibili. Ci restano ancora nove anni per poi vivere senza l’incubo della rata mensile.

Alcuni autotassati hanno assicurato il loro sostegno per il futuro, ma, come ben s’intende, di questo passo si va incontro ad una crisi difficilmente gestibile.

Continueremo ad inventarci nuove iniziative, ma, essendo il loro esito sempre sotto il segno dell’incertezza, è necessario che altri parrocchiani si autotassino.

E’ il caso di ricordare che le uscite per la manutenzione della chiesa sono aumentate in quanto, prima alcune opere manutentive erano sopportate dalla Confraternita che ci ospitava come chiesa parrocchiale.

“A buon intenditore non aggiungiamo parole”

“Un po’ per ciascuno non fa male a nessuno”

“L’unione fa la forza”

Sono aforismi di saggezza popolare che calzano bene alla nostra realtà parrocchiale.

Intanto grazie di cuore a coloro che hanno recepito il problema e risposto con generosità.

Il Consiglio per gli Affari Economici

Sorgente: <a href="Esserci, aprile 2001“>Santa Maria della Stella Terlizzi

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