Esserci, giugno 1995

 

Dall’Eucarestia… la Chiesa

Quando ho saputo che alla nostra comunità parrocchiale spettava il compito di preparare la solennità del Corpus Domini il cuore mi è saltato in gola, non so se per la felicità di un evento che avrebbe visto la nostra parrocchia protagonista o per la paura di un impegno grande, che vedevo smisuratamente grande.

Poi, quando ho saputo che finalmente la Commissione edilizia aveva approvato il progetto per la costruzione della nuova chiesa della Stella, ho detto a me stesso che il cuore mi era salito in gola per l’emozione di vedere tutta la città stretta attorno all’Eucarestia e da quella Eucarestia sarebbe nata una nuova chiesa.

Ho voluto vedere i due avvenimenti insieme come se la Provvidenza avesse voluto suggerirci una chiave di lettura e quindi di riflessione. La vera Chiesa nasce sempre dall’Eucarestia e la nuova chiesa della Stella sorgerà sul luogo in cui verrà celebrata l’Eucarestia nel giorno del Corpus Domini.

Essa diventerà certamente nella storia del nostro paese il segno della fede di un popolo che, radunato attorno all’Eucarestia, diventa popolo di Dio e si fa… Chiesa.

don Franco

 

Corpus Domini: Una festa di comunione

Il senso della nostra situazione umana rivelatoci da Gesù è che noi siamo amati da Dio. Benché mi senta solo, abbandonato e disperso in un mondo senza senso, nel quale sembrano dominare il caso e la necessità, io sono amato da Dio: Dio si dà per me e dà per me quanto di più caro, il Figlio suo! Questa manifestazione d’amore diventa il segno del credente. Se i credenti vogliono essere riconosciuti quali discepoli del Signore, devono vivere la reciprocità relazionale, fondata sull’amore a misura di quello divino. Il nostro è un Dio comunione, è Dio Trinitario, è il Dio-con-noi, cioè il Dio che ci accompagna. Accompagnare: letteralmente dividere il Pane, cioè stabilire un tratto di comunione indelebile, una comunicazione autentica.

La sua è una proposta di comunione intensa. Una complicità fatta di carne e sangue. Una convivenza in un’esaltante avventura d’amore totale ed assoluto. Vivere per Lui: orizzonte della nostra vita ed approdo ultimo del nostro peregrinare spesso distonico, contraddittorio, incoerente, limitato. Ma il Suo amore è più grande: dove abbonda il peccato ha sovrabbondato la Grazia. Un amore concreto fatto di carne e sangue: un amore corporeo, non etereo, immaginifico, invisibile.

Il Corpus Domini è la festa del Suo corpo, ma è anche la festa del nostro corpo.  E’ la festa di un amore incarnato in un corpo, è celebrazione di una prossimità carnale che nessuna altra divinità può vantare. Già, perché la scelta di un corpo umano umanizza il Dio cristiano, lo avvicina a noi secondo una scansione spazio-temporale che ci è familiare.  Il Dio che si fa uomo fa l’uomo Dio: ciò è uno scambio di contenuti ontologici (umanità di Dio e divinità dell’uomo) che ha la sua chiave di lettura proprio nella realtà corporale. Il corpo assume così una dignità straordinaria: è il medium fra l’uomo e Dio.

La corporeità è quindi una dimensione da rispettare, è un mistero da contemplare. E’ sacramento, cioè luogo in cui e attraverso cui opera Dio. L’Eucarestia è un mistero di Presenza della corporeità divina, è l’essere nel mondo di un Dio che, pur potendolo, non ha lasciato solo l’uomo. E’ quest’amore immenso che noi adoriamo e contempliamo nella festa del Corpo e del Sangue di Gesù.

Lo scrittore G.K. Chesterton diceva che il mondo perirà per mancanza di meraviglia, perché incapace di contemplare e stupirsi. La comunità dei credenti, che nella gioia testimonia l’amore trinitario di Dio, diviene suscitatrice di meraviglia se, a sua volta, è capace di penetrare nella contemplazione e di aprirsi allo stupore. Solo così sarà capace di indicare quell’Ulteriorità che dà senso alla storia e alla fatica dell’esistenza. Bisogna avere occhi capaci di vedere e cuore pronto a ringraziare! Grazie Signore, perché hai scelto di stare con noi, di essere nostro compagno di strada. Grazie perché, se è vero che questa vita è spesso il terribile luogo del travaglio, è anche vero che è il grembo fecondo di un parto di novità, in cui l’umanità può imparare l’alfabeto della fede, della speranza, dell’amore senza misura.

Daniela Zappatore

 

8 marzo – Festa della donna

Alle donne, amate dal Signore, pace e gioia

In questa giornata di festa penso alle Sante donne che, il più delle volte sconosciute e nel silenzio, lievitano le nostre Comunità con la forza del loro amore. Voi siete capaci di un amore fatto di concretezza e di sacrificio, di generosità e di tenerezza.

Diverse donne compaiono sul cammino di Gesù. Il suo modo di parlare con loro e di loro, come il suo modo di trattarle, è libero da ogni condizionamento sociale e culturale. Il suo rapporto è unico, semplice, profondo con ciascuna di loro: Maria, Marta, la Maddalena, la Samaritana, la Cananea…

Sembra ancora di assistervi dal vivo, di udire dalla sua voce le espressioni di tenerezza, di apprezzamento, di ammirazione che Egli rivolgeva loro. Gesù quindi ha dimostrato un grande amore per la donna, ridandole la piena dignità.

Ogni giorno sono anch’io ammirato per l’impegno di tante donne, perché nella famiglia resti vivo e costante il vivere per l’altro. Mi commuove profondamente l’incontro con alcune mamme che danno senza risparmio la vita per i figli portatori di handicap.

Siate forti e coraggiose! La società ha bisogno di voi per riumanizzare le strutture ed imprimervi nuove vitalità, per scoprire il vero volto della pace. Continuate a generare vita, dando ai giovani ragioni per vivere, per credere e per sperare.

E Maria, modello di donna pienamente realizzata, sia la vostra compagna di viaggio e vi sostenga con il suo conforto. Auguri!

+ Donato Negro, Vescovo

 

Donna tratta dall’uomo, pensata da Dio

Presso il Centro Parrocchiale si è tenuta una serata in onore della donna, organizzata dalla Caritas e dalla Commissione Cultura, voluta più per celebrare la donna stessa che la ricorrenza in sè, oggi materia di seria revisione critica. E contribuire inoltre all’inserimento tra noi di alcune, tra le tante, extracomunitarie.

Due chiacchiere tra amici con Jamila Balhaiti (Marocco), Miranda Kulli (Albania), Augustina Efuneshi e Nganya Lucy (Nigeria). Uno scambio di notizie tra culture diverse, per conoscerci tutti un po’ meglio. E farci capire che il disagio è da tutte e due le parti. Con un pensiero al passato, quando ad emigrare eravamo noi.

Così scopriamo che la donna ha più diritti in Nigeria. Una donna che può andare a scuola, può avere amicizie maschili, ma “con moderazione e molto riserbo”; può dirigere scuole o aziende, ma solo se frequentate da donne; può scegliersi il marito, anche se deve risultare gradito ai genitori. Ha molti meno diritti in Marocco. Una donna così scarsamente considerata, tanto da non poter nemmeno testimoniare in tribunale. Non sarebbe credibile. Una donna ancora molto sottomessa all’uomo in Albania, dove persiste una concezione patriarcale della famiglia. Quanto diversa la situazione italiana! Eppure le nostre ospiti non se ne fanno un gran cruccio. Anzi, ci danno quasi una lezione quando  rimproverano le nostre donne di aver perso quelle manifestazioni esteriori di religiosità, come la pudicizia nel vestire e il coprirsi il capo prima di entrare in chiesa. Come dar loro torto?

Tutte dicono di trovarsi bene in Italia, anche se pensano con nostalgia ai parenti lontani, ai quali vorrebbero riunirsi, o alle calde atmosfere africane. Che sono riecheggiate nei canti e nelle danze, molto apprezzati, con cui le due nigeriane hanno piacevolmente spezzato la conversazione.

Mentre auguriamo loro un sempre più proficuo inserimento nella nostra società, speriamo che in una prossima occasione un più grande numero di immigrati voglia far festa con noi.

Giuseppe Gragnaniello

 

Il palco

Finalmente è finita. Non se ne poteva veramente più di comizi, amicizie riscoperte dopo anni di muffa, programmi più o meno efficaci, promesse più o meno sincere, patteggiamenti, compromessi, accordi a corta o lunga scadenza, ingordigia di pochi o vero, autentico modo di intendere il bene comune e altro ancora.

Qualcuno dirà: “Ma questa è la politica!!!”. D’accordo, ma perché parlare, incaponendosi, di nuovo? E ancora, perché gridarlo sul palco, a tutti, se si era ben consapevoli che di nuovo proprio non si trattava? Discorsi, promesse, forse espresse in modo più forbito, con più argomentazioni, meglio articolate, però tutte poco ponderate e davvero porte con violenza. No, non ci siamo ancora!

Tutto ciò sa di politica vecchia, che tutti abbiamo criticato: i vari imbonitori e cialtroni, che fortunatamente stanno sempre più mettendosi da parte, dovrebbero aver trasmesso lezioni importanti da evitare, ma non sembra che l’esperienza sia servita. I nostri politici, giovani o vecchi che fossero, sul palco si trasformavano, incredibilmente; non li riconoscevo; avveniva un’inspiegabile metamorfosi non supportata da ragioni fondate.

Perché gridare? A favore di cosa? Contro chi o cosa? Il nuovo non si era ancora sperimentato e non era il caso di vantarlo come il toccasana di tutti i mali; il vecchio era da combattere ma non tout court, perché tutti ci siamo alimentati ai valori che ci hanno aiutato a crescere e che ci hanno trasmesso i nostri nonni.

No, proprio no! Ai terlizzesi non credo vada più giù di sentirsi urlare addosso le cose! A noi adesso va, invece, di guardare in faccia le persone, vederle operare, fare fatti, senza più concedere cambiali in bianco, perché la nostra piccola “città dei fiori” ha toccato veramente il fondo. Di gente che ha urlato, negli scorsi decenni, ne abbiamo ascoltata tanta; di gente che ha operato ne abbiamo vista molto, molto poca.

Forse per questo ai nostri politici cosiddetti “nuovi” non è stata data la fiducia che aspettavano. Se si fossero presentati sul palco con umiltà, avessero presentato programmi più verosimili e, soprattutto, se non si fossero comportati come tanti ducetti in miniatura, presumibilmente avrebbero avuto più consensi.

Però semi importanti credo siano stati comunque gettati. Sta a tutti noi, proprio a tutti, coltivarli con amore affinché germoglino e costituiscano i pilastri sui quali costruire una società migliore, si spera presto.

Francesco Santeramo

Sorgente: <a href="Esserci, giugno 1995“>Santa Maria della Stella Terlizzi

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