La strage degli innocenti
Quando si avvicina Natale, forse saranno le luce, forse sarà il clima piuttosto freddo, sentiamo il bisogno di un po’ di tepore, e i nostri sentimenti vanno alla ricerca di tenere immagini.
Io in questo Natale non riesco a pensare ai pastori che portano a Gesù la lana per riscaldarsi o il latte per nutrirsi; non riesco a pensare agli angioletti che cantano la gioia della salvezza, perché ogni giorno la televisione mi presenta la Somalia con bambini denutriti e mi dice che ne muoiono oltre cento al giorno, mi presenta Sarajevo continuamente martoriata. Mi viene in mente quindi un’altra immagine del Natale: la strage degli innocenti.
Mi chiedo: “Quale Natale avranno questi innocenti destinati a scomparire appena nati?”. Mi potreste, e forse giustamente, dire che almeno a Natale è inutile parlare di cose tristi.
Forse avete ragione? Io mi chiedo: “Oggi, come allora, c’è ancora Erode che per la sua sete di potere uccide dei bambini e oggi, come allora, il Natale me lo ricorda e me lo ricorda per dirmi che quella pace annunciata dagli angeli non si è ancora realizzata perché Erodi moderni continuano ad uccidere degli innocenti?” E mi ricorda che il Natale per ciascuno di noi non è una festa di un giorno o di una settimana ma un evento e come tale segna la storia.
Se questa nostra storia vuole rimuovere dalla sua mente i fatti negativi che la contrassegnano vuol dire che non vuole vivere il Natale ma ubriacarci del Natale.
Occorre rimeditare il Natale e riconoscere in quella nascita il segno per tutti gli uomini di buona volontà, ancor più di noi cristiani, il mandato che il Natale costituisce per noi.
Come vivere il Natale senza vanificarlo in devozioni superficiali, in gesti emotivi? Io credo che oltre a riaccendere la fede attraverso una dimensione spirituale profonda, ognuno debba diventare, nella sua piccola storia, segno di speranza, perché il Natale è festa di speranza. Il nostro Vescovo don Tonino ha scelto di essere segno di speranza recandosi a Sarajevo; ognuno può scegliere i suoi gesti di speranza.
don Franco
Natale da cristiani
La nostra società occidentale, che aveva manifestato più volte una “mentalità” da ricco Epulone, quest’anno è costretta a conoscere qualche privazione che mortificherà la corsa allo spreco natalizio.
Il significato del Natale, dobbiamo confessarlo, era stato scippato dal cieco consumismo che è l’idolo nuovo dell’egoismo. L’amore di Dio che sceglie di farsi Uno di noi, di stare accanto a noi, per toglierci dalla miseria in cui ci eravamo cacciati e rivestirci della originale bellezza di creature uscite dal cuore del Padre, è il vero e stupendo significato del Natale.
Ed è veramente triste vedere come la festa dell’amore, che trova la sua reggia naturale nella povertà del cuore, fosse diventata un mercato delle più svariate vanità.
E, mentre da una parte si assiste all’assedio di un natale tutto da “godere”, mettendo da parte i problemi che affliggono non solo la povera gente, dall’altra parte la gente si sente come frustrata, triste, come se mancando le luci fantasmagoriche delle vie e il luccichio delle vetrine, si spegnessero le stelle del cielo e si facesse buio nel cuore.
Non è così che si appiana la via a Gesù Cristo, che vuole tornare tra noi, ma è nella capanna di Betlemme, ossia nella povertà, che si apre la strada al ritorno di Cristo.
Dovremmo allora dire: in questo Natale 1992 le circostanze ci hanno resi più poveri e quindi meno disponibili all’egoismo. Ma Dio si è fatto strada fra le nubi del nostro egoismo, spaccate dalle difficoltà, per fare arrivare a noi il suo sussurro: “Ti amo”. Ed è finalmente diventato il Natale che ci voleva: quello della grotta di Betlemme su cui cantano gli angeli e non quello delle vetrine che possono vendere ose morte, ma mai la felicità, che è vita e nutrimento dell’amore.
+ Antonio Riboldi, Vescovo di Acerra
Attenti alla Stella
Non so proprio chi aveva ragione tra me e Mario, quella mattina in cui fummo entrambi coinvolti in un incidente, per fortuna senza gravi conseguenze, solo qualche ammaccatura alle macchine.
E’ certo, come da copione, che la reazione più logica in questi casi doveva essere quella di una persona molto irritata per l’accaduto che si scaglia contro l’altro, che ha sempre torto, e si cerca di farglielo capire in qualsiasi modo.
Ero pronto a farlo e stavo per uscire dalla macchina, quando sono stato preceduto da Mario che mi ha letteralmente assalito con improperi e villanie di ogni sorta, recitando la solita sceneggiata.
Pur se non mi faceva paura, perché era più piccolo e più magro di me, l’ho lasciato fare, l’ho lasciato sfogare… tradendo il copione. Era esterrefatto: non capiva come mai me ne stessi fermo e tranquillo, nonostante le offese moto pesanti.
I suoi occhi la dicevano lunga sul suo stato d’animo, ma ho voluto tranquillizzarlo: non lo stato prendendo in giro, anzi avevo in mente di fargli capire solo che eravamo entrambi vittime di un banale incidente e che nulla poteva impedirci di stringerci la mano comunque, da persone ragionevoli e solo un tantino sfortunate.
Non mi sono sentito un “Rambo” in quel momento, né ho volto dare una dimostrazione di superiorità intellettuale, ma solo di equilibrio interiore che, in quel difficile frangente, sono riuscito a mantenere.
Mi scuso se ho personalizzato troppo questo articolo citando una mia esperienza, ma senza averte la pur minima intenzione di costruire un “esempio” desidero estendere un po’ il discorso.
Quanti di noi, oggi, si fanno travolgere dal comportamento dei tanti fanatici che dettano leggi sbagliate e pretendono di formulare cliché validi sempre, per ogni tempo, individuo e occasione?
Ma non significa perdere la nostra identità, il nostro senso critico, la nostra dignità di esseri umani responsabili e maturi?
Quante situazioni balorde vedono protagonisti giovani che per odio razziale uccidono e mortificano poveri indifesi e innocenti?
Quali esempi negativi danno persone che rivestono cariche di rilievo e responsabilità e si macchiano di infamie tra le peggiori?
Ma che cosa sta succedendo? Sembra che ciascuno di noi stia vivendo una sua storia sena rendersene conto, in un suo mondo, su una sua strada che s’è scelta da solo, senza sapere dove porti.
Se è così abbiamo veramente perso il discernimento: la nostra mente brancola nel buio, in meandri tortuosi e senza fine, spesso maleodoranti, pieni di insidie e paludi in cui prima o poi si cadrà.
Se non è così, se cioè c’è ancora nei nostri cuori l’intenzione di scavare momenti di ricerca, di ascolto, di silenzio interiore, di tensione spirituale, scrutiamo meglio il cielo e senz’altro scopriremo la stella che guidò i Magi alla grotta di Betlemme, pronta a guidare anche noi, sempre più luccicante perché piena d’amore.
Francesco Santeramo
Auguri, Don Tonino!
No, non potevo mancare dieci anni dopo quella magica notte di Tricase. Ma anche questa è stata una sera calda, da ricordare.
Purtroppo son arrivato a cerimonia già iniziata. Ho trovato tanta gente, anche al di fuori della cattedrale. A stento son riuscito ad entrare, e per non più di tre, quattro metri. Molti curiosi, probabilmente. Ma anche tanti fedeli. E tutti autenticamente commossi. E la commozione è arrivata al massimo quanto il Vescovo, il nostro amato Don Tonino, ha cominciato a parlare, anche lui emotivamente coinvolto.
Caro don Tonino, ci hai chiesto scusa delle assenze, dei troppi periodi trascorsi lontano dal tuo popolo. Assenze però che sappiamo ben spese, in giro per il mondo – è proprio il caso di dirlo – in nome di nobili ideali.
Siamo noi invece che dobbiamo chiedere scusa a te, per tutte le incomprensioni e per le tante manchevolezze, figlie degli angusti confini delle nostre menti.
E ti dobbiamo rendere grazie per tutto quello che hai fatto per noi, molto spesso senza che lo meritassimo.
Grazie per averci fatto capire che bisogna pensare in maniera diversa, che bisogna osare di più, che bisogna amare di più.
Grazie per averci ricordato di dare più ascolto alla nostra coscienza.
Grazie per averci fatto guardare al di là del nostro naso, così da vedere quelle situazioni che preferivamo ignorare.
Grazie per la continua testimonianza, anche in questi momenti per te così difficili.
Tra le altre cose, come al solito tutte belle, che hai detto ti sei augurato di celebrare insieme i venticinque anni di vescovado. Ma più ancora noi speriamo di averti al nostro fianco per tanti e tanti anni.
E per mettere davvero in pratica il tuo insegnamento, ripensiamo alle “schegge di rimorsi” mai risolte, non indugiamo nella pigrizia, scuotiamoci dal “sonno sotto il ginepro” e affrontiamo con rinnovati energia ed entusiasmo la strada che ancora una volta, paternamente e mirabilmente, ci hai indicato. Quella di un Vangelo vissuto, giorno dopo giorno.
Auguri, don Tonino!
Giuseppe Gragnaniello
Il Nuovo Catechismo
Su tutti i giornali in questi giorni abbiamo letto che è stato pubblicato il “Nuovo Catechismo” e per lo più abbiamo associato questo libro a quel testo e a quei testi sui quali ognuno di noi, fanciullo, ha formato se stesso alla scuola del catechismo.
Non è proprio così, perché il “Catechismo della Chiesa Cattolica” è qualcosa di profondamente diverso e nuovo. Esso non si rivolge a persone che vogliono conoscere Gesù ma a persone che hanno già maturato la propria intelligenza ed esperienza della vita e presenta la fede cattolica di sempre, sulla base di quanto è stato approfondito nel Concilio Vaticano II e nel contesto della situazione e sociale di oggi.
Il Papa, Giovanni Paolo II, nel presentare il Nuovo Catechismo ha detto: “La Santa Chiesa di Dio gioisce… e ringiovanisce. Essa infatti con questo strumento manifesta il suo costante desiderio e la sua ricerca di ringiovanire il proprio volto perché appaia sempre meglio in tutta la sua infinita bellezza il volto di Cristo”.
Ora, in una società come la nostra in cui è forte la tendenza a sgonfiare la religione dalla verità e quindi a ridurre anche la propria fede ad un’opinione personale o di gruppo, fortemente legata alla soggettività, il Catechismo richiama per tutti l’esistenza della fede della Chiesa legata alla rivelazione di Dio, che non può essere un’opinione tra le altre, a cui dedicare un po’ della nostra attenzione, ma è la verità che ci libera e ci salva.
Questa fede della Chiesa costituisce per ogni credente un preciso punto di riferimento che lo stimola a superare visioni soggettive e parziali fidandosi prima che si se stesso di Gesù cristo.
Il catechismo, in conformità con il cammino dell’uomo, non domanda questa fiducia nella Parola di Dio trascurando l’intelligenza dell’uomo. Per questo, per la sua formazione, ci sono voluti anni , perché non è facile far coniugare i bisogni dell’uomo, la sua intelligenza con la Parola di Dio. Il catechismo diventa la mediazione tra l’uomo di oggi e la Parola eterna di Dio.
(senza firma)
Sorgente: <a href="Esserci, dicembre 1992“>Santa Maria della Stella Terlizzi
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