Cos’è una chiesa

Che cos’è una chiesa ? Una chiesa è e rimane sempre un’icona spaziale. Un’icona spaziale che deve nascondere e rivelare il mistero. E quando dico mistero mi riferisco alle realtà inaccessibili, realtà inesprimibili, a tutto ciò che comporta qualcosa di impalpabile e di inafferrabile. E’ della icona rivelare e nascondere, far vedere attraverso il segno una realtà che è dentro. Compito dell’architettura è quello di rendere un servizio alla contemplazione, alla fruizione del mistero, attraverso la grammatica dei nostri segni. Per cui una chiesa non può non inserirsi in quel flusso, in quella linea dell’incarnazione in cui Dio, mistero insondabile, per farsi conoscere, per entrare in dialogo, in comunione con noi, si fa carne. E nel momento in cui si fa carne usa il linguaggio umano, usa le coordinate spazio-temporali che sono le coordinate dell’uomo, e perciò ogni progettazione non può non usare l’alfabeto e la morfologia che è la più naturale all’uomo: quella di entrare in comunione. E se Dio è entrato in comunione con noi, e perciò la Parola si fa carne, il mistero si fa carne, compito della chiesa nella sua struttura è proprio questo: rivelare una presenza nascosta. E questa presenza nascosta, guarda caso, si identifica con la increata bellezza di Dio. Perché se siamo soliti dire che il Verbo è parola eterna di Dio, possiamo anche dire che il Verbo è melodia, bellezza.

 

L’architettura e tutte le arti vanno poste al servizio di questa bellezza che deve essere fruita. Perciò ogni architettura, al di là dell’aspetto funzionale, deve diventare simbolo, inteso nella significato greco: qualcosa che deve congiungere me che sono qui con un’altra realtà  che mi sta oltre. E in questa chiesa ne troviamo tanti di simboli!

 

L’altare di pietra ci rimanda a Cristo, nella concezione paolina, per cui la pietra è Cristo, la roccia fondamentale su cui si fonda la chiesa e da cui come un torrente fluisce la Grazia. Perciò è al centro, è il punto focale, il punto di fulcro da cui partono linee di fuga, braccia simboliche che si allargano ed accolgono i fedeli invitati a fare chiesa, cioè l’assemblea del popolo cristiano. E’ di forma quadrata, perché secondo Simeone di Tessalonica, nella sua concezione del mondo orientale che la Chiesa ha fatto sua, l’altare quadrato è misura di quattro dimensioni, una mensa che chiama a raccolta tutti i popoli ed essi, sedendovisi attorno, possono consumare e mangiare all’unico banchetto. Novità nella continuità se pensiamo alla Basilica ravennate, dove è raffigurato il sacrificio di Melkisedec con un altare mosaicato in forma quadrata o se consideriamo la Trinità di Rubliev, ove al centro del movimento rotatorio delle tre persone angeliche c’è un’altare in forma quadrata.

 

L’altare è arricchito da quattro formelle, che costituiscono la vera sintesi di quelle che noi chiamiamo memorie dell’altare. La prima raffigura l’altare eretto dopo il diluvio da parte di Noè Da quell’altare fiorì l’arcobaleno e quindi la riconciliazione: l’altare che diventa luogo e presenza di Dio che si riconcilia con l’umanità Un legame quindi tra arcaicità e modernità dall’altare fiorisce l’arcobaleno di luce che congiunge cielo e terra. Nella seconda troviamo l’altare innalzato da Abramo per il sacrificio di Isacco. Quest’altare richiama l’altare del sacrificio in cui il Padre, se risparmiò il figlio di Abramo, non risparmierà suo figlio Gesù. Quindi l’immagine va letta nella prospettiva di Cristo, il vero Isacco, che sarà immolato sull’altare della Croce. La terza formella rappresenta la grande assemblea del Sinai, dove Israele di ritorno dall’Egitto alle falde del Sinai si trova con Mosè a celebrare un rito di alleanza: erigono tanti altari, poi sgozzano animali e il sangue versato viene utilizzato per aspergere l’altare e l’assemblea, perché un patto sancito con il sangue è un patto irrefutabile, e così Dio sancisce la sua alleanza e realizza un vincolo di comunione. Nell’ultima formella l’altare trova il suo sbocco nel Cristo morto e risorto. Lui è il vero altare. Infatti nell’Apocalisse troviamo che Gesù è in un atteggiamento che lo vede eretto ma con i segni della passione. Questo Cristo morto e risorto è un perfetto connubio tra simbolo che è l’agnello e Cristo che è la realtà E dato che è sul davanti, sotto i vostri occhi avrete sempre questa immagine che vi riporta al sacrificio di Cristo sul Calvario e soprattutto al sacrificio pasquale che nel cielo si celebra insieme con i Santi. Ma in questa formella trovate anche una dimensione metastorica: Cristo che è l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine di tutta questa storia, per cui Cristo assomma l’altare di Noè l’altare di Abramo, l’altare di Mosè per arrivare alla grande visione del sacrifico pasquale, della sua morte e della sua resurrezione.

 

L’altare ha davanti anche una incisione, una croce: non dimenticate che nella prospettiva di Giovanni Crisostomo l’altare sta al centro della chiesa, perché battendo come Mosè con la verga la roccia viene fuori sangue ed acqua, segno e sorgente della vita. Quindi quella croce incisa sta ad esprimere la perfetta assimilazione tra pietra e croce, per indicare Cristo che si dona ed offre a noi la salvezza, attraverso i segni sacramentali, pane e vino, sulla croce pane ed acqua. Poi potete leggere la memoria – ed è la prima volta che viene fatto – incisa tutt’attorno: “Questo altare fu dedicato da Mons. Donato Negro, Vescovo di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo il giorno 14 marzo 1999”. Ogni anno l’assemblea ricorderà questa data commemorativa attraverso le croci che vedete sulle pareti laterali che saranno illuminate per ricordare l’avvenimento.

 

Secondo elemento importante è l’ambone che in questo caso rispetta la definizione di luogo alto, elevato, monumentale, stabile, che deve realizzare la convergenza degli sguardi nei confronti di chi va a proclamare la Parola e che nella concezione biblica rappresenta il monte Sinai da cui la Parola di Dio fu data a Mosè e attraverso Mosè all’assemblea dei credenti. Nella pietra sono stati ricavati i simboli dei quattro evangelisti, nell’ordine cronologico in cui si sono succeduti a scrivere: Marco, Matteo, Luca e Giovanni. La fiaccola che è accanto esprime una visione cristologica: la Parola di Dio è luce sul nostro camino, e Cristo è luce sui nostri passi. Perciò da questo ambone, da questo luogo elevato, vera icona di Dio che parla al suo popolo, si irradia la luce per il popolo cristiano. L’ambone si colloca tra il presbiterio e l’assemblea: è agganciato all’area presbiteriale e si protende verso il popolo, ad indicare il dono della Parola che è offerto dalla Chiesa all’assemblea radunata che è un’assemblea in ascolto della Parola.

 

La cappella feriale deve esprimere quel momento di intimità che è il dialogo perenne con l’Eucarestia. E l’Eucarestia deve avere il suo luogo: si confeziona, si prepara, si realizza sulla mensa ma si conserva nella cappella feriale. Il tabernacolo è innervato e direi tenuto in piedi da una croce, perché l’Eucarestia è sempre il memoriale, cioè il ricordo vivo della passione e morte di Cristo. Questa passione, morte e resurrezione è realizzata attraverso i segni delle spighe sul battente e dell’uva che decora tutta la croce, per richiamare la materia dell’Eucarestia, pane e vino. La cappella feriale è un angolo riservato perché è il luogo della contemplazione, dell’adorazione, per cui entrando in chiesa trovate lo spazio per entrare in comunione con Cristo. Il tutto viene arricchito da una stupenda vetrata che nell’iridescenza dei suoi colori non fa altro che sublimare ed evidenziare questa realtà di luce che è il mistero di Cristo nascosto nel pane e nel vino.

 

Due altri poli celebrativi, il confessionale e il fonte battesimale, sono sottolineati da due magnifiche vetrate che non hanno soltanto un funzione decorativa. Esse esprimono anzitutto una visione teologica, devono parlarci attraverso la sinfonia dei colori e delle luci. La vetrata penitenziale raffigura l’amplesso grandioso di questo Dio che dall’alto dirige il cammino del ritorno di un figlio tra le braccia di un padre. Tutta la struttura è articolata a partire dal padre che è la fonte della conversione, la fonte della luce, la fonte del ritorno. E poi la visione decisamente teologica dove la luce fa da regista dei sentimenti. E un mandorlo splendido: il peccato crea il deserto, crea il vuoto, il sacramento della penitenza fa fiorire il deserto, fa tornare la primavera. Quel mandorlo richiama la fioritura del cuore, la fioritura della Chiesa in quest’amplesso di amore. L’angolo del battesimo presenta sotto il profilo della suggestione coloristica una pagina pregevolissima di arte e di fede, frutto di una profonda conoscenza teologica, patristica: l’arca, l’arca di Noè, un arcobaleno, e sull’arca una croce ma anche una colomba. Ci ricorda il brano di Noè ma ci ricorda anche la realtà del battesimo, che è ingresso nell’arca che si chiama Chiesa, e in quest’arca trovate la croce, che è sorgente di redenzione e di salvezza. E ci rende capaci di essere Chiesa, tempio vivo in quest’arca viva, è lo Spirito. E infatti la colomba adombra l’arca con le sue ali.

 

Non dimentichiamo infine colei alla quale la chiesa è dedicata, la Madonna della Stella. Fulgida stella del nostro mattino, del nostro meriggio, del nostro vespro, della nostra notte. Colei che veglia, che ha accompagnato il cammino travagliato di questa costruzione. Ricordiamo che è una donna feriale. Non dimentichiamolo. La Madonna rimane pur sempre una creatura del popolo cristiano. Eccelsa ma sempre una creatura terrena. Ha i lineamenti della nostra carne, del nostro volto. Questa Madonna si ispira alla maternità feriale: una donna come tutte le altre, che ha il volto assorto nella contemplazione ed è lì a presentarvi, ad offrirvi il suo figlio. E scultoreamente è concepita in un gesto umanissimamente e profondamente materno, come chi prende il figlio, se lo stringe sul suo seno e poi nello stesso tempo è lì per darlo. Quindi offre un’immagine di sicurezza, di fiducia, di protezione e nello stesso tempo di donazione. E’ una donna feriale. Mi raccomando: non idealizziamo la Madonna! E’ una nostra sorella e quindi una delle tante mamme, pur eccelsa nella sua funzione, ben rappresentata dalla diversa tonalità del bronzo dorato, che esprime il cammino della luce verso il punto culmine rappresentato dal volto di Gesù, compimento del suo splendore. Sotto la statua, il gran sasso di mare dà l’idea del movimento delle onde, sulle quali Maria è lì che domina la storia travagliata del nostro cammino, offrendoci Cristo che è la salvezza degli uomini.

 

Così parlando della chiesa come icona spaziale del mistero siete entrati in questa dinamica dove tutto è stato calibrato, a cominciare dall’ingresso. Avrete notato che sul portale c’è una croce: la croce è Cristo, la porta è Cristo, è lui che attraverso il suo sacrificio ci introduce nella realtà del Cielo. Ecco quanto travaglio c’è sotto una chiesa. Ed oggi possiamo essere grati al Padre Eterno per il risultato raggiunto che ci rende fieri di questo manufatto per cui sono state chiamate a raccolta le migliori energie e le migliori intelligenze che la nostra terra ha. Ed è bene che vediate la chiesa ancora non finita, perché vedendola ancora non completata avrete tempo e modo di adoperarvi, di studiare, di inventarvi iniziative. Perché la Chiesa non si finisce mai di costruire. Se invece dovessimo dire ormai è finità entreremmo nel processo della sedentarizzazione: ormai ci siamo fatti la casa, stiamo tranquilli. Possiate insieme col vostro parroco vedere questa chiesa ancora non finita per chiamare a raccolta progettisti, artisti e tutti voi operatori, perché veramente questa chiesa canti nel tempo la gloria  del Dio vivente.

 

Don Felice Di Molfetta

(sintesi a cura di Giuseppe Gragnaniello)

 Esserci, luglio 1999

 

Sorgente: <a href="Cos’è una chiesa“>Santa Maria della Stella Terlizzi

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