Omelia di don Pietro Rubini
nel secondo giorno della Novena in onore di Maria SS.ma di Corsignano
Tutti i giorni dell’anno ci è dato di contemplare nella nostra splendida e suggestiva Concattedrale l’antica icona di Maria SS.ma di Corsignano, che troneggia al centro del presbiterio come per attrarre subito l’attenzione di quanti vi entrano. In questi giorni della novena lo facciamo con maggiore distensione ed intensità, avvertendo su di noi tutta la dolcezza del suo sguardo, tutta la tenerezza del suo sorriso, tutto il calore del suo amore materno.
Cosa vuol
dire, per il nostro popolo tanto innamorato di Maria, contemplare il suo volto di madre? È come stare davanti a un dipinto che ha poche pennellate, molto spazio bianco, colori tenui, contorni non totalmente definiti, atmosfera di sacro silenzio.
Davvero quella di Maria è una icona dove tutto è denso di significato, dove tutto invita a trascendere, a lanciarsi verso l’infinito, a fare l’esperienza dell’oltre, a dilatarsi nel bello. E ciò che di più bello c’è da contemplare nella vita della Vergine Maria è proprio il mistero della misericordia di Dio. Maria è colei che conosce più a fondo il mistero della misericordia. Al riguardo papa Francesco nella Bolla di Indizione del Giubileo Straordinario afferma che «Nessuno come Maria ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne (…) Il suo canto di lode – prosegue il Santo Padre – sulla soglia della casa di Elisabetta, fu dedicato alla misericordia che si estende “di generazione in generazione” (Lc 1,50). Anche noi eravamo presenti in quelle parole profetiche della Vergine Maria» (MV 24). Ecco, dunque il motivo per cui nell’antifona Salve Regina noi invochiamo Maria come Mater Misericordiae.
Sarebbe, tuttavia, importante da parte nostra non pronunciare mai superficialmente la parola misericordia, quasi ne avessimo fatto l’abitudine.
Tutte le volte che noi udiamo la parola misericordia è come se ascoltassimo le pulsazioni del cuore di Dio. Tra i gesti più intimi e più commoventi in una famiglia quando si è in attesa di un figlio c’è quello di scrutare i segni della sua presenza nel corpo della mamma. Si comincia col notare il gonfiore del suo ventre e, col progredire dei mesi di gestazione, si avvertono persino i primi movimenti, magari i sussulti della nuova vita. È sempre emozionante percepire questi segni di presenza: il papà, i parenti, gli amici toccano delicatamente la pancia della mamma e sorridono, attendono, cominciano ad immaginare come sarà e a chi somiglierà la nuova creatura. Anche a noi sacerdoti capita spesso di benedire il ventre di una madre in attesa. Non per nulla, nella Bibbia, tra le parole che indicano la misericordia di Dio ci sono in ebraico quella di rakhamìm e in greco quella di splanchnà: ambedue indicano il grembo materno. È come se ci venisse detto che sentire la misericordia vuol dire percepire la pulsazione del cuore di Dio! Proprio come si sentono le pulsazioni di una creatura quando ancora è nel ventre materno.
A pensarci bene i termini “misericordia” e “donna” sono indissolubilmente legati, perché la misericordia per eccellenza è quella che si realizza nel grembo di una donna, quando accoglie in sé una nuova vita. Noi tutti viviamo perché una donna, un giorno, ci ha detto il suo “sì”, ci ha ricevuto e accolto nel suo grembo, ci ha offerto e ci ha fatto vivere della sua misericordia. Noi tutti viviamo grazie alla misericordia di una donna. Pensiamo, in questo momento, alle nostre mamme e al loro atto di misericordia nei nostri riguardi quando ci hanno accolto nel loro grembo. Ebbene Maria è madre di misericordia innanzitutto perché accoglie nel suo grembo il Figlio di Dio. Davanti a lei, Dio si inchina e attende il suo “sì”, attende la misericordia primordiale che solo lei può accordargli: un grembo in cui farsi carne. Dio ha guardato l’umile sua serva e Maria è misericordiosa con Dio, lo accoglie, e così può diventare “madre di misericordia” anche per noi. Di questo si tratta anche per noi: di essere misericordiosi con Dio, di accoglierlo, compiendo la sua volontà, come ci dice Gesù nel Vangelo (cf. Mc 3,35). Forse, poi, saremo più misericordiosi anche gli uni con gli altri. La misericordia assoluta è accogliere Dio, essergli madre, come Maria, aiutarlo a incarnarsi nelle nostre famiglie, nelle nostre strade, nelle nostre piazze, in questa nostra città a volte distratta, nelle nostre stesse comunità parrocchiali. È importante che l’incarnazione della misericordia di Dio avvenga proprio qui, nei luoghi della vita quotidiana, dove tante volte ci si comporta come se Lui non ci fosse, come se Lui non parlasse al nostro cuore, come se Lui non agisse, tanto ci sentiamo superbi e presuntuosi, più rivali che fratelli tra di noi, più decisi a giudicare e condannare che a perdonare, o – come dice il nostro papa – più pronti «a parlar male del fratello fino a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera che a saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto» (MV 14). Cerchiamo, allora, di non fermare il cuore misericordioso del Padre che palpita dentro di noi, cerchiamo di non sfigurare il volto misericordioso di Gesù impresso nel nostro volto, cerchiamo di non bloccare l’arte di usare misericordia a cui lo Spirito Santo ha voluto abilitarci. Così contribuiremo a disseppellire la divina misericordia dai nostri cuori e dai cuori di altri uomini. Ancora adesso, il Misericordioso senza casa cerca casa, e la cerca prima di tutto in me, in te. Tocca a me, tocca a te essere madre di misericordia verso Dio. Come una madre, quando porta in sé il figlio, vive due vite, la sua e quella della creatura che porta in grembo, così anche il credente vive due vite, la sua e quella di Dio, indissolubili. E come il figlio cambia la storia della madre, così ognuno di noi che riceve Dio ne esce trasformato: cambia il modo con cui dà e riceve amore, cambiano gli occhi con cui guarda la vita e le persone, cambiano le parole con cui dice il suo stare al mondo.
Dunque, Maria SS.ma di Corsignano, stasera, ci insegna una nuova prospettiva. Non solo quella di Dio che usa misericordia verso di noi ma anche quella di essere noi misericordiosi con Dio, accogliendolo nella nostra vita come «Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione» (2Cor 1,3). Egli agisce con noi come il vasaio che dinanzi ad un vaso non riuscito bene, rimette l’argilla sul tornio e ricomincia a modellarla (cf Ger 18,2-4). L’immagine bellissima è del profeta Geremia. L’argilla siamo noi e Dio il vasaio. Lui non ci butta mai via, siamo sempre buoni per la sua arte di vasaio. Egli non si arrende davanti alle nostre imperfezioni, ma escogita sempre nuovi modi per rimodellarci secondo il progetto che ha in mente. La miseria dell’uomo non mette fine alla sua creatività misericordiosa. Nessuna nostra situazione è per Lui senza uscita. Per noi è una sciagura lavorare con vasi rotti, ma per Dio non è così, è l’opposto. Noi siamo le anfore rotte di Dio, e lui ci rimette sul tornio e ci lavora di nuovo con la pressione calda e forte delle sue mani per trarre dal nostro nulla cose nuove e impensabili ai nostri occhi. Così facendo Dio ci educa a non arrenderci mai al male, alle sconfitte, ai peccati che sono in ciascuno di noi e negli altri.
Nell’ultima udienza generale, lo scorso mercoledì, papa Francesco rivolgendosi ai pellegrini italiani ha detto che «la misericordia è un cammino che va dal cuore alle mani. Nel cuore, noi riceviamo la misericordia di Gesù, che ci dà il perdono di tutto, perché Dio perdona tutto e ci solleva, ci dà la vita nuova e ci contagia con la sua compassione. Da quel cuore perdonato e con la compassione di Gesù, incomincia il cammino verso le mani, cioè verso le opere di misericordia». E raccontava della bella intuizione di un Vescovo che nella sua cattedrale ha fatto due porte di misericordia di entrata e di uscita. Perché una porta è per entrare, cioè per chiedere il perdono e avere la misericordia di Gesù; l’altra è la porta per uscire e portare la misericordia agli altri, con le nostre opere di misericordia.
Maria, Mater Misericordiae, ci aiuti ad abitare la terra come lei, ricordandoci, ogni volta che entriamo nella nostra Concattedrale, della misericordia ricevuta e da restituire.
A Lei, «Arca dell’alleanza tra Dio e gli uomini» (MV 24), rivolgiamo una preghiera particolare per i nostri sacerdoti, chiamati ad essere «segno del primato della misericordia» (MV 17), senza dimenticare gli anziani e i giovani, quanti sono nella sofferenza e tutti coloro che a noi si raccomandano. Per tutti, anche per quanti, parenti e amici, sono deceduti in questo anno, invochiamo l’intercessione della Vergine Santa. Maria, Mater Misericordiae, ora pro nobis.
Giovinazzo, 12 agosto 2016
Sac. Pietro Rubini
Sorgente: <a href="Il volto misericordioso del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nella vita di Maria e del cristiano“>San Domenico Giovinazzo